Visualizzazioni totali

mercoledì 20 ottobre 2010

Quei corsi di laurea salvati dai «volontari»

SASSARI. Un esercito di oltre quarantamila persone: tanti sono i docenti a contratto presenti nelle università italiane. Li hanno chiamati «docenti free lance», «professorini», «volontari del sapere». Girano in lungo e in largo l’Italia alla ricerca di una cattedra.  Un fenomeno ormai diventato prassi in tutti gli atenei del nostro Paese: da Torino a Genova, da Venezia a Siena, da Firenze a Roma, a Napoli, a Messina. Nessuna regione è esclusa. Molti hanno accettato di lavorare gratis pur di rimanere nell’ambito universitario, altri - come è accaduto a Firenze e Pisa - hanno rifiutato categoricamente contratti di questo genere che li priverebbero di garanzie fondamentali come la giusta retribuzione in relazione al lavoro svolto. In barba all’articolo 36 della Costituzione e al concetto di «esistenza libera e dignitosa».  Ma non ci sono soldi, i bilanci sono in rosso e ogni università corre ai ripari come può. D’altronde senza il «volontariato» molti corsi chiuderebbero, dando un colpo mortale a un’istituzione moribonda, con le casse prosciugate e la ricerca azzerata. A Messina, un anno fa, hanno anche cercato di rendere la medicina meno amara: nel bando si leggeva, infatti, di «contratti a titolo gratuito, in quanto volti all’arricchimento delle competenze professionali degli aspiranti».  La sostanza è sempre la stessa: devi lavorare gratis nella certezza di arricchire il curriculum (per quello che vale), ma soprattutto nella speranza che al momento giusto qualcuno si ricordi di te. Il domani è sempre più incerto: il «no» secco del ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a dare il via alla contestatissima riforma universitaria voluta dal ministro della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini apre il campo a una sfida politica complicata. Francesco Bellu

Nessun commento:

Posta un commento